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Wednesday, March 8, 2017

La Statoil di Norvegia punta sulle rinnovabili. La Shell abbandona le Tar Sands del Canada. Le riserve della Exxon calano del 19%.





One day, there will be a peak in oil demand.
There is a debate about when that will happen. 
At some point, it will be a shrinking business. 

Eldar Saetre, CEO della Statoil
la piu' grande ditta petrolifera di Norvegia


Altri passi verso il tramonto delle trivelle.

La Statoil di Norvegia decide di diversificare il suo portfolio di investimenti e di dedicare alle rinnovabili fra il 15 e il 20% della sua spesa complessiva.

Annunciano che fanno questo perche' sanno che siamo arrivati al picco del petrolio,  che e' bene prepararsi in anticipo per i cambiamenti del futuro, che non puntano certo verso altre trivelle.

E cosi il capo della Statoil, Eldar Saetre, dice che la maggior parte dei loro investimenti rinnovabili sara' rivolto verso l'eolico offshore, perche' e' qui che possono re-inventarsi usando l'esperienza che hanno accumulato con le trivelle a mare.

La data per il picco del petrolio varia - alcuni dicono che l'abbiamo gia' passato, altri che ci sara' fra il 2020 e il 2030. La International Energy Agency dice che il consumo mondiale di petrolio aumentera' almeno fino al 2022 quando ne useremo 104 milioni di barili al giorno.

La Statoli ha tutto l'interesse a diversificare i suoi investimenti perche' a differenza delle altre sue amiche del petrolio, finora e' tutta puntata su trivelle oil and gas, e non su raffinazione ed oledotti, lasciandola maggiormente esposta a fluttuazioni nei prezzi del greggio.

Dal canto suo l'amica Shell decide di liberarsi di tutti i suoi investimenti nell Tar Sands del Canada - circa 7.25 miliardi di dollari.

Perche' fanno questo? Per ridurre i propri debiti. Tutto sara' venduto alla Canadian Natural Resources,
e la Shell conservera' solo parte dei suoi interessi nel cosiddetto  Scotford upgrader,  una sorta di raffineria delle sabbie bituminiche che prende il bitume e lo diluisce in modo da rendere il trasporto piu efficente.

La Shell ha almeno 30 miliardi di debiti che vuole ridurre: hanno gia' terminato le loro operazioni di raffinazione dnegl USA con la Saudi Arabian Oil e hanno venduto una serie di pozzi di petrolio nei mari inglesi.


Anche per la Shell si tratta di passi fatti per un mondo che dipende sempre meno dalle trivelle e in cui si cerca di dimuire le emissioni di CO2, Trump o non Trump.  E estrarre bitume dalle Tar Sands e' fra le operazioni piu' impattanti che possano esserci perche' il bitume e' difficile da raffinare e da trasformare in benzina o in altri prodotti di uso comune. I processi coinvolti e le emissioni di CO2 sono particolarmente intensi.

Le trivelle delle Tar Sands erano appetibili finche' i prezzi del petrolio erano piu' di $100 al barile, adesso con il crollo dei prezzi, lo sono un po meno.

Un altra cosa interessante delle nuove politiche della Shell e' che pageranno bonus ai propri dirigenti fino al 10% del loro stipendio se riusciranno a diminuire le emissioni dalle proprie raffinierie e dai propri impianti chimici.

Tutte le altre ditte del petrolio non nuotano certo in acque da crociera, quanto in acque di tempesta.

La Exxon Mobil ha eliminato progetti trivellanti per almeno 16 miliardi di dollari grazie all'abbandono dell'impianto di Tar Sands detto Kearl e facendo calare le sue riserve del 19%.

Ai suoi investitori la Exxon dice che i bassi prezzi del petrolio nel 2016 hanno fatto si che miliardi e miliardi di barili di "riserve" di petrolio nelle Tar Sands non potevano piu' essere considerate riserve perche' non economicamente realizzabili.  Oltre alle Tar Sands, ci sono operazioni americane che saranno chiuse prima del previsto a causa del crollo dei prezzi.


Il futuro sta arrivando, anche per i petrolieri. Sta a noi resistere e far si che il processo sia velocizzato il piu' possibile.











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